Chi siamo - Profili - Club dei NatiScalzi

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CHI SIAMO

PROFILI

 

Paolo S.

 

Sicuramente devo essere nato scalzo. Non me lo ricordo, però dei miei primi anni ricordo, al ritorno dallo sfollamento nel ’45, le buche lasciate dalle bombe in città, e che mi piaceva andare scalzo. Infatti quando andai all’asilo, se potevo nascondermi, mi toglievo le scarpe e facevo un giretto a piedi nudi.
Un po’ più grandicello, dai 14 ai 18 anni trascorrevo l’estate scalzo in casa fra le proteste di mia madre e mi arrampicavo sul tetto per stare in santa pace scalzo, oppure me ne andavo in periferia su una collina, dove giravo - di nascosto - a piedi nudi.
Insomma, questa storia di andare scalzo, me la porto appresso da sempre.
Nelle mie estati da universitario, dopo cena spesso facevo camminate per chilometri sulla massicciata della ferrovia rischiando di farmi male per il buio. Mai successo niente!!!
Finalmente, ma ormai lavoravo, ebbi il coraggio di uscire scalzo in città al pomeriggio, e di attraversarla percorrendo le strade pedonali di maggior traffico. Con un certo patema d’animo a dire il vero, dovuto al fatto che se avessi incontrato qualcuno che mi conosceva, non avrei saputo giustificare in modo troppo convincente questa stranezza. Non capitò mai per fortuna; di notte non avevo però alcun problema. Si trattava comunque di esperienze ripetute ma non costanti. In seguito mi capitò invece di fare altre esperienze in montagna. 
Infatti ero (e sono) un buon escursionista e mi capitava talvolta di finire un'escursione distrutto dagli scarponi; cominciai a prendere il vizio di finire a piedi nudi, quando ormai le scarpe facevano solo soffrire. Non mi sono mai trovato male!
Poi per anni non mi capitò più di poter andare scalzo come e quanto avrei voluto; dovevo limitarmi ad una pratica esclusivamente casalinga; devo dire che però dove abito si può stare scalzi praticamente tutto l’anno e quindi in realtà non ho mai smesso.
Dovevo ritrovare il coraggio dei trent’anni, dove abito è una cittadina dove tutti i ragazzini hanno camminato scalzi fino a 25 anni fa circa, ma ormai si è persa l’abitudine. Era difficile perché facevo l’insegnante e non avrei potuto entrare in classe ed andare scalzo, nessuno avrebbe capito. Poi è arrivata Internet, ho scoperto per caso il Club dei Nati scalzi ed è tornata la voglia di riprendere davvero.
Ho aspettato ad andare in pensione, e finalmente ce l’ho fatta. Non senza le solite difficoltà che sono sempre di duplice ordine, psicologico e fisico. 
Le prime sono, a dispetto di quel che sembra, di più lunga durata. Evito ancora pochissimi contesti, nei quali giudico non verrei né compreso né approvato, mentre i piedi sono diventati abbastanza robusti da permettermi di andare disinvoltamente su superfici anche difficili, escludendo ovviamente limiti estremi estivi ed invernali. Sono stato scalzo inizialmente nel 2002, da aprile ad ottobre; ma dal 2003 lo sono in modo continuativo tutto l'anno, salvo qualche brevissimo periodo invernale. I miei record.
Sono tornato scalzo alla mia vecchia scuola, accolto con molta simpatia dai colleghi, sono andato dal medico che udite, udite, non mi ha dissuaso, vado scalzo dappertutto, compresi locali pubblici da cui nessuno mi ha mai cacciato …
Sono tornato a fare escursioni in montagna, ora in buona parte scalze.
Non ho mai più preso un raffreddore o un'influenza!
Cammino molto, spesso faccio un percorso cittadino di 10,4 km.
I tempi? 
- 10,4 km in  1h 52m 31s (luglio 2005) 
- 23,7 km in  4h 48m 20s (dicembre 2007)
Posso decidere senza problemi dove e quando andare scalzo e questa è una gran cosa, vi pare?
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Enzo

 

Da ragazzino, passavo sempre un mese in villeggiatura al paese di mia madre dove i compagni di giochi erano tutti scalzi e a torso nudo, erano gli anni '50. Ero il solo vestito, con i sandali, e coltivavo l'idea di andare scalzo anche io, fino al giorno in cui, correndo, mi ferii con un fondo di bottiglia. Da quel giorno furono di rigore le scarpe. 
Tre o quattro anni dopo, ebbi la fortuna di essere affidato per un mese all'inizio dell'estate, fra la fine della scuola e la partenza per le vacanze, ad una famiglia di contadini amici dei miei. Fu un'esperienza di "agriturismo" "vera" perchè ero ospitato alla pari, quindi avevo analoghi incarichi e momenti di libertà dei loro figli.
L'ambiente e il tipo di vita era molto più vicino a quelli de "La fattoria" stile 1870 che agli attuali in agriturismo, anzi più realistico perché tutti i giovani e i ragazzini andavano scalzi, anche nella stalla. Ovviamente anche io iniziai a togliermi le scarpe, ma dovendo eseguire dei lavori e dovendo stare dietro agli altri ragazzi che correvano per terreni impossibili per chi non è allenato e non ha una buona suola naturale, dovevo portare sempre dietro le scarpe e metterle per attraversare terreni con zolle, spine o pietraie. Quegli anni passarono in fretta e ripensandoci mi pentii di non essere stato più costante e di non aver approfittato in pieno di quelle opportunità per acquisire la capacità di camminare scalzo.
Questo rimpianto è rimasto vivo fino ad oggi e circa tre anni fa ho scoperto per caso, da un sito americano, che esistevano i barefooters e che esisteva il sito italiano dei Nati Scalzi. Leggendo le pagine sul barefoot hiking, mi sono reso conto che era ancora possibile riconsiderare quella possibilità, tanto più ero in pensione e da qualche anno avevo capito che la situazione più comoda per i miei piedi era stare scalzo, quindi, stavo scalzo in casa in tutte le stagioni.
Ho iniziato a fine febbraio le mie prime esperienze di barefooting su una strada di un parco cittadino, con un fondo molto vario, di terra e balsolato di tufo molto irregolare o sconnesso, ottima palestra per allenare e rinforzare i piedi. Successivamente, mi sono divertito a passeggiare in città.
Dopo quasi quattro anni, le mie preferenze vanno ai fondi naturali che trovo più vari e divertenti, tanto più che non mi piacciono le suole nere da città, mentre trovo le piante sporche di terra o i piedi impolverati una condizione naturale.
Porto i sandali senza calze tutto l'anno, con ogni condizione meteorologica, e passeggio scalzo in un parco pubblico appena posso, non meno di una o due volte a settimana, anche d'inverno, con qualsiasi tempo e temperatura, anche intorno ai zero gradi. Mi sembra assurdo che i più limitino il loro barefooting ai periodi più caldi, perché, se il barefooting piace veramente, si dovrebbe essere spinti almeno a provare le sensazioni del camminare scalzi in ogni stagione.
Quando ne ho voglia e le strade mi ispirano, vado scalzo anche in città.
Ormai non ho quasi problemi di tipo di terreno, ma il limite è la resistenza, cioè il numero massimo di chilometri. Mi sono reso conto che per non avere questo limite bisognerebbe vivere costantemente scalzi.
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Temistocle

 

Ho cominciato a camminare scalzo negli anni '70, quando ero un ragazzino: ho cominciato insieme ad altri ragazzi al mare, prima nella parte "non sabbiosa" di uno stabilimento balneare, poi per le vie delle località marine.
In città osavo poco, ma negli anni '70 rimanevo molto colpito nel vedere numerosi hippies, indiani metropolitani, punks e giovani stranieri nel centro di Roma, soprattutto a piazza Navona.
Ho cominciato davvero a camminare scalzo in ambienti cittadini quando sono stato in Germania con una borsa di studio all'università di Tübingen, dove sono stato convinto e coinvolto sia dalla conoscenza che dall'imitazione di numerosi altri studenti che si scalzavano.
Attualmente sono piuttosto un barefoot-hiker che un barefooter vero e proprio: ossia, cammino scalzo solo in località di vacanza e in escursioni in campagna e ai margini delle città, oltre che in occasioni particolari come le marce della pace e simili.
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Marco

 

Qualche dubbio sul fatto che si fosse “obbligati” a portare le scarpe l’avevo fin da bambino anche se ho giocato scalzo solo qualche volta e in casa. Nella pace della campagna alessandrina dove andavamo qualche giorno tutte le estati, ho fatto i miei primi passi fuori dai sandali. A proposito. Ho sempre portato le infradito di gomma da poche lire e sono oggi di nuovo di moda.
Ho scoperto che il terriccio morbido delle strade di campagna, l’erba e il polverino finissimo erano piacevolissimi, e che anche sassetti e ghiaia non erano un problema: mi dà molto più fastidio un singolo sassolino in una scarpa che correre su una strada inghiaiata... A 16 anni i miei mi hanno portato in Alto Adige dove ho scoperto che almeno metà dei bambini e ragazzi camminava scalzo nei paesi, nei campi, nei boschi. In Austria (il confine era solo a 7 km dalla località di villeggiatura) anche i giovani sui 20-25 anni andavano spesso in giro a piedi nudi.
Così anch’io, anche se la cosa mi faceva un effetto tremendo. Ricordo di essere salito con la seggiovia (solo andata) e ridisceso lungo il versante con le scarpe in mano, provando l’ebbrezza della rugiada di montagna, ma pronto a re-infilarmi subito le scarpe se vedevo qualche altro escursionista. Per fortuna ho incrociato da vicino solo una coppia, così non ho dovuto togliere e mettere le scarpe troppe volte.
A 18 anni alla mia prima escursione in macchina con gli amici, a Lugano, ho lasciato le scarpe insieme alla macchina nel parcheggio e via. Guido spessissimo a piedi nudi, scoprendo di modulare meglio l’acceleratore (= consumo inferiore) e anche i freni (frenate più dolci).
Da allora cammino scalzo regolarmente quando sono all’estero. Diverse sono le cose in Italia. Anche se Torino non è molto più sporca di Stoccarda, il fatto di essere a contatto con persone che possono conoscermi mi tiene assai bloccato. Ci volevano il sito dei Natiscalzi e il forum di www.hobby-barfuss.de, e la preziosa compagnia di Franco * per sbloccarmi un po’. Ho acquistato i finti sandali (mi piace chiamarli scalzature) e con questi vado e vengo dal garage dove tengo il motorino che mi porta al lavoro. In ufficio le indosso, fra i sorrisi compiaciuti dei colleghi. Recentemente ho trovato il coraggio di andare con quelle al Lidl e al Conad a fare spesa, e, da poco, addirittura di rientrare a casa dalla centralissima Piazza Castello a piedi completamente nudi. Un poco alla volta e sempre da solo. Mia moglie non tollererebbe che mi faccia vedere per Torino senza scarpe, anche se mi “permette” di camminare scalzo con lei quando siamo all’estero.
Posso in parte capirla e poiché le voglio (ancora!) un gran bene, non desidero imbarazzarla e se sono con lei rispetto questo suo desiderio, anche se uso le più semplici e classiche infradito flip-flop.
Trascorriamo sempre insieme una settimana di ritiro spirituale con un gruppo religioso sui monti del biellese, con la tenda, in una grangia tranquilla e frequentata solo dai ragazzi e le persone del gruppo. Qui, complici le faggete e l’assenza di micidiali castagni, ho però la facoltà di girare scalzo tutto il tempo, col sole e coi temporali (qualche anno fa siamo anche stati deliziati da una grandinata incredibile e io ho camminato scalzo lo stesso). Infatti, sempre da ragazzo, sapevo di popolazioni indiane d’america che vivevano scalze anche d’inverno, per non parlare della tribù degli Ona, che se ne stavano COMPLETAMENTE NUDI in Patagonia, dove i venti non sono certo tropicali nè gli inverni temperati (per inciso la tribù è stata sterminata dall’uomo bianco che ha voluto civilizzarla imponendogli gli abiti nella più bieca osservanza del comandamento “vestire gli ignudi”: peccato che i missionari spagnoli abbiano portato agli Ona, insieme ai vestiti, anche i bacilli del raffreddore, malattia con cui gli Europei convivono da secoli ma sconosciuta agli abitanti di quelle zone, che sono tutti morti letteralmente di raffreddore....). Così, ben prima di leggere i consigli dell’Abate Kneipp ho provato a camminare scalzo anche sulla neve. Se ci riuscivano gli amerindi ci potevo provare anch’io. Con un po’ di allenamento adesso sono in grado di camminare anche  50 minuti e fino a quasi 2 ore se la temperatura esterna è compresa fra 0°C e 3°C e se sono adeguatamente coperto nel resto del corpo. Se le temperature esterne sono molto inferiori allo zero mi limito a pochi minuti. E’ importante avere un cappello in testa perché è la testa che disperde il maggior calore corporeo, mentre i piedi sono la nostra centrale termoregolatrice... E’ difficile convincere gli altri che non è masochismo o fachirismo, quanto invece una sensazione stranissima per cui al freddo iniziale subentra una reazione circolatoria molto intensa che è perfino molto piacevole. L’unica istruzione è di tenere ben d’occhio il colore dei piedi. Se restano di un bel rosa acceso, va tutto bene. Se incominciano a diventare bianchi e sentire fitte di freddo è bene rientrare di corsa in caldi calzettoni e scarpe chiuse ben spesse e isolate.
Personalmente in inverno adopero talvolta in città delle DeFonseca private della suola. Farà un po’ ridere, ma il piede sembra “scarpato” e non dà scandalo al volgo che (penso) ti scambierebbe per pazzo fuso. Già i pochi che si accorgono che uno è scalzo in estate lo guardano stupefatti (qualcuno ha il coraggio di chiedere “ma non hai freddo ai piedi?” - d’estate !!!!!!), ma d’inverno non me la sento ancora di sostenere la cosa e preferisco la discrezione di un sotto del piede a contatto col fresco marciapiede e un sopra del piede mimetizzato da scarpa.
Com’è difficile superare tutti i traumi psicologici per poter semplicemente camminare nel modo più naturale possibile !!!
Letteralmente passo dopo passo ci si arriva. Un grazie anche all’aiuto delle esperienze di tutti che dal sito dei Natiscalzi e dal forum di Promiseland consentono di sapere che non si è soli, non si è fuori di testa e che il problema di poter camminare scalzi in santa pace è un po’ di tutti.
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Antonella

 

Quando ero bambina osservavo con orrore, alla spiaggia, i piedi delle donne adulte: deformati, callosi, le dita accavallate l'una all'altra, e mi chiedevo: dovranno proprio diventare così anche i miei? Poi ho scoperto che non dipendeva dall'età, ma da come i piedi venivano trattati. Io che non ho mai e poi mai sopportato i tacchi, anche quando non avevo ancora messo in discussione le scarpe, per fortuna ho avuto meno danni di altri; e andando scalza sempre di più mi trovo oggi ad aver recuperato completamente la funzionalità dei miei piedi: mobilità totale delle dita e delle articolazioni del 'corpo' del piede, e una bella soletta morbida e resistente sotto la pianta, scomparsi anche quasi tutti i pochi calli che avevo e che erano causati dalle scarpe e dal mancato attrito con il suolo.
Ho quasi 50 anni, e la mia schiena sta più che bene, mentre 15 anni fa avevo un principio di artrosi e dolori dorsali che ora non ho più.
Sono andata scalza nella mia vita in varie occasioni molto saltuarie nella mia giovinezza, spesso in situazioni di vacanza, quando ho incominciato a staccarmi dalla famiglia in cui andare senza scarpe proprio non se ne parlava. L'illuminazione però l'ho avuta verso i 21 anni, andando per la prima volta a Venezia e sentendo l'impulso di togliermi i sandali per 'sentire' meglio il posto: per 3 giorni non li ho mai più rimessi ai piedi, ed ho scoperto un mondo che non immaginavo esistesse: come chi riacquista improvvisamente la vista che non sapeva gli mancasse! le calli avevano una loro grana, una loro temperatura, una 'scrittura' di percorsi invisibili agli occhi ma chiarissimi alla pianta dei miei piedi che, seguendoli, scopriva itinerari e luoghi che altrimenti mi sarebbero rimasti ignoti.
Poi c'è stato di nuovo un periodo in cui le scarpe le toglievo solo in casa; però ormai sapevo, e così, dopo la nascita del mio primo figlio ho cominciato a capire, guardando lui, cosa significa lasciare il piede libero di funzionare come la natura lo ha concepito, e ho ripreso a togliermi le scarpe appena potevo. Ho cominciato a fare escursioni nei boschi (specie pineta) scalza, imparando molto su questo nuovo senso. Parallelamente ho alleggerito sempre di più le mie scarpe, non sopportando più quelle chiuse nemmeno l'inverno. Ho eliminato i calzini, scoprendo che era meglio una scarpa bagnata a 'pelle' che una con un impacco bagnato di calzino, quando pioveva (adesso so che la cosa che si asciuga più in fretta e si riscalda prima è un piede scalzo).
Quando ho trovato il forum dei natiscalzi è stato un piacere scoprire che non ero l'unica matta a voler andare in giro senza le scarpe come 'tutte le persone normali', e questo mi ha incoraggiato ad avventurarmi scalza anche in mezzo alla gente.
Non ho nessun piacere a essere notata e giudicata come bislacca, suonata, zingara oppure poveraccia per il fatto di camminare nel modo in cui sto più comoda; sinceramente sarei più contenta se andare scalzi fosse una scelta normale che non suscita scandalo, ma le scarpe sono ormai una sofferenza per me e il piacere di camminare 'a piede libero', sentire i diversi terreni, godere del tepore polveroso di un viottolo o del refrigerio di un marciapiede bagnato di fresco dalla pioggia, della tenera moquette di un prato o della ruvida solidità della pietra, sono gioie a cui non si può più rinunciare una volta provate. D'altronde sono rassegnata a desiderare sempre (e a volte fare) nella mia vita cose scandalose e 'anormali', come fare il bagno in mare fuori stagione, arrampicarmi sugli alberi, sedermi a terra, allattare i miei figli finché vogliono, partorire in casa, mangiare vegan e camminare scalza!

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Nicolò

 

La sensazione di piacere e di libertà che provo camminando scalzo, è affiorata alla tenera età di 4 anni.
Correvo a nascondermi dietro a un albero in giardino, e li restavo a piedi nudi; lontano dai miei genitori che non hanno mai visto di buon occhio la mia propensione a stare scalzo.
Dai 4 ai 16 anni, mi scalzavo appena ero solo in casa; facevo lunghe passeggiate in giardino a piedi nudi; purtroppo terminavano appena mia madre e mio padre mi rimproveravano dicendo che mi sarei ammalato.
Gli impegni di lavoro della mia famiglia mi hanno consentito, a 17 anni, di trascorrere molto più tempo scalzo; ma ho sempre sofferto di dover restare nell'ombra e di non poter mai avventurarmi a piedi nudi fuori dalle mura di casa mia.
Ora ho 18 anni, e non molto tempo fa, ho scoperto il sito Nati scalzi e il forum nel quale mi sono presentato; e sono stato subito accolto con gentilezza da altre persone che, anch'esse, condividono il piacere di camminare a piede libero.
I loro suggerimenti e, il "sapere di non essere solo" mi hanno conferito il coraggio di affrontare il dissenso dei miei genitori e la vergogna che provavo sotto quelli sguardi che fissavano il mio come un "comportamento anomalo".
Ho iniziato a camminare a piedi nudi anche nella città dove abito; e presto mi avventurerò a piede libero anche fuori dalla città dove vivo.

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Diddi

 

Diddi è originario dell’Assia Settentrionale (Germania), ha 45 anni, è un artista pubblicitario, e considera perduto ogni giorno in cui non riesce a ridere fino alle lacrime.
Questo spirito positivo e senso dell’umorismo lo aiuta non poco a gestire e contrastare l’handicap fisico con cui è costretto a combattere dal 1999, attraverso il quale ha scoperto i benefici e il piacere del barefooting.
Ecco la traduzione italiana della testimonianza scritta di suo pugno.

Da quando soffro di sclerosi multipla, la parola "barefooting" ha assunto per me un significato molto particolare. 
A causa di questa infiammazione cronica dei nervi, in certi periodi mi vengono compromesse la sensibilità e la mobilità delle estremità. Quando le gambe e i piedi non rispondono, mi aiuta moltissimo camminare scalzo e soprattutto affondare i piedi nudi nella rugiada. Questa terapia naturale secondo il metodo Kneipp infonde in me nuove energie e nel contempo ridesta quelle esistenti momentaneamente assopite. Mi giovano moltissimo anche i pediluvi in acqua fredda alla Sebastian Kneipp che faccio ogni mattina.
Da quando si è manifestata la malattia, nelle stagioni calde inorridisco soltanto al pensiero di dover sopportare calze e scarpe, perché mi provocano un caldo eccessivo e un senso di bruciore fastidioso ed inoltre mi ottundono parzialmente la sensibilità. Ho come la sensazione che i piedi debbano scoppiarmi da un momento all’altro, per cui seguo il vecchio detto popolare tedesco “Camminare scalzi fa bene alla salute”.
In effetti il contatto diretto con il terreno mi aiuta moltissimo, perché le “informazioni” captate dalle piante dei piedi mi compensano ampiamente i deficit degli organi responsabili dell’equilibrio. Con le scarpe non avviene niente di tutto questo, anzi, mi muovo come un bambino che sta imparando a camminare. Invece per me è importante sentire esattamente dove sono per riuscire a camminare correttamente, cosa che senza scarpe riesco a fare con successo.
Quando stamattina il mio medico mi ha visto comparire scalzo, per fare una battuta spiritosa mi ha chiesto se stavo comodo. Appena ha sentito che metto il barefooting in testa alle classifiche del mio benessere personale ha ribattuto “Ottimo, continua così!”
I medici non hanno nulla contro il mio scalzismo, anzi, lo trovano un’idea geniale e assolutamente da imitare.Io penso che i barefooter ispirino più simpatia di quelli che imprigionano i piedi nelle scarpe chiuse, in quanto danno l’idea di essere persone miti, sincere, amabili e umane.
La pubblicità questo lo ha capito da un pezzo: non so se anche voi avete fatto caso, ma nelle scene mirate a suscitare tenerezza e serenità i piedi nudi non mancano quasi mai.
Trovo inopportuni quei genitori che col caldo estivo costringono i loro bimbi a portare le scarpe, a volte anche molto pesanti. Così facendo privano i loro piccoli di sensazioni piacevoli ed inoltre favoriscono loro lo sviluppo dei piedi piatti. E questo soltanto perché ritengono che sia sconveniente andare in giro scalzi. Che sciocchezza!
Qualche giorno fa ero invitato a una festa di compleanno. Inizialmente avevo pensato di indossare un paio di Birkenstock modello KAIRO, poi però me ne sono infischiato delle convenzioni e sono andato scalzo. E ho fatto bene, visto che la festa si è svolta in giardino. Il mio look era assolutamente ok, ed anzi ho suscitato invidia negli altri invitati, che avevano tutti le scarpe.E dire che soltanto ancora un anno fa mi vergognavo a presentarmi scalzo in pubblico. Mi limitavo a togliere le scarpe in piscina, ovvero dove lo fanno tutti. Pensavo che non fosse opportuno per un uomo di 42 anni entrare scalzo ad esempio in un negozio a fare commissioni. Oggi invece riesco ad andare scalzo dappertutto senza farmi più nessun problema.
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Luca T.

 

Ogni mattina la sveglia suona alle 6. Esco da casa e faccio un giro scalzo nel prato e nell'orto, bagnati dalla rugiada. La testa si sveglia immediatamente e il buonumore è assicurato. Questo ultimo aspetto è quello che più mi colpisce, mi meraviglio di non aver fatto questo collegamento in passato. Il buonumore che prende a chi cammina scalzo è una cosa che "intender non la può chi non la prova". Come medico posso dire senza tema di sbagliare che la camminata scalza favorisce la produzione e liberazione di endorfine da parte del cervello.
Dal punto di vista scientifico questa sarebbe solo un'ipotesi, ma chi fa l'esperienza di camminare scalzo lo sa bene. Le endorfine sono i mediatori chimici del nostro benessere e della nostra energia vitale, con il rinforzo degli aspetti positivi della vita: energia, buonumore, equilibrio ormonale e immunitario. Per produrle non è necessario andare scalzi; però è certo che tutto il sistema delle endorfine si potenzia con lo stimolo della pianta del piede, l'esistenza della riflessologia confermerebbe questa ipotesi.
A mio parere il benessere ottenuto camminando scalzi aumenta sempre di più con questa attività. Chi ha sempre avuto le suole sotto i piedi ha bisogno di un po' di tempo. E' quando sotto il piede si forma quella suola sottile ed elastica di cuoio naturale, che mantiene la sensibilità ma difende dai traumi, che la connessione con il cervello si stabilizza e si rinforza sempre di più.
E' bene che queste cose si sappiano il più possibile.
Questi concetti non sono in sé nuovi, dato che li ho già visti esporre nelle pagine tradotte del libro che voi fate leggere nel vostro sito. 
Ringrazio di aver ripreso l'argomento; ho da dire che io non ho dubbi sul miglioramento del funzionamento del sistema delle endorfine (sia sulla loro produzione che sulla liberazione)con lo stimolo plantare. Dato che la pianta del piede è così sensibile che il solletico viene percepito da tutti in modo intenso e anche talora fastidioso, non crederemo certo che la natura abbia creato un organo così sensibile senza una più estesa e utile funzione! Enzo parla di "droga naturale", e in certo senso ha ragione: si parla di dipendenze positive quando si tratta di comportamenti (fra cui c'è anche lo sport) che arricchiscono la persona e la rendono soddisfatta e capace di far progetti. Al contrario le dipendenze negative impoveriscono, rendono insoddisfatti e chiudono l'orizzonte delle persone: sono queste le droghe. Le dipendenze positive sono tali perché stimolano la produzione di endorfine che sono "droghe naturali" (benché io provi ripugnanza a chiamare droghe sostanze nobilissime che sono le vere ricchezze di cui la natura ci ha dotati), e quando vengono interrotte lasciano un senso di mancanza, pur senza dare una crisi di astinenza paragonabile a quelle che si ha con l'uso di droghe: questa mancanza è dovuta al fatto che l'organismo ha imparato a contare su questo stimolo. L'interruzione dei comportamenti positivi comunque non fa alcun danno sostanziale perché lascia i serbatoi pieni e ben funzionanti, al contrario della droga che blocca la produzione delle endorfine e quindi lascia l'organismo svuotato e impoverito.
Per quanto riguarda i Masai, ho ricevuto da poco il contributo di amici che sono stati in Kenya di recente e mi hanno detto che i Masai che hanno visto loro stanno molto scalzi, almeno quelli che hanno visto loro, e usano le suole solo se è necessario.
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Flavio

 

Entro questa Estate 2006 per la prima volta nella realtà scalza.
Ho 52 anni compiuti e gimnopodista lo sono sempre stato (anche se mi piace di più il termine "scalzista"), perché fin da bambino cercavo di nascosto di fare qualche giretto a piedi nudi; le estati erano lunghe e calde, anche se qualche follia climatica era spesso presente anche allora (si dava colpa alle bombe atomiche, qualcuno di voi lo ricorderà) e le lunghe passeggiate in bicicletta erano all'ordine del giorno. Si lasciava il mezzo meccanico in qualche stradina di campagna e si camminava scalzi cercando di godere di tutte le sensazioni che ciò comportava; piedi nudi mi ricordano il profumo del fieno, morbida erba o pietruzze che solleticavano la pianta dei piedi, acqua fresca o caldo asfalto, esperienza vissuta ai margini della città in cui vivo (Brescia ) nella totale clandestinità: che vergogna farsi vedere da qualche adulto o da qualche conoscente, perché piedi nudi significavano sensualità, trasgressione e senso del proibito.
E' sempre stato un fuoco che covava sotto la cenere: scalzo in casa sì, ma se avessi potuto uscire..... e se mi avesse visto qualcuno? Pensate al colore delle aragoste cotte!
Durante le mie vacanze 2006, convinto dalla vista di una barefooter sconosciuta, ho fatto il salto: scalzo per strada, nei negozi e al supermercato. Esperienza meravigliosa.
Sono uno scalzista stagionale, ma la cosa già comincia a starmi stretta; tuttavia qualche breve camminata nella neve l'ho fatta: bellissimo!
Non amo sentirmi in imbarazzo né mettere in imbarazzo chi mi frequenta, perciò sono un barefooter molto attento alle circostanze ambientali, ma, nello stesso tempo anche fortemente motivato.
Sono di carattere riflessivo, sensibile, simpatico in compagnia, ma anche sostanzialmente chiuso e diffidente; la mia compagna preferita è la solitudine.
Perché scrivo sul forum? Perché il desiderio di condividere la mia passione scalza con persone simpatiche è più forte di ogni altra cosa e poi credo che sia un’esperienza che fondamentalmente ci arricchisce.
Sono affezionato al nickname “lucignolo” perché era il modo in cui talvolta mi chiamava mio padre rifacendosi all’omonimo personaggio di Collodi.

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Contessa Scalza

 

Fin da bimba mi sono guadagnata il "titolo" (soprannome), che oggi ancora difendo con onore, di "Contessa Scalza". Come si deduce, ho sempre amato camminare "scalza" per tutti i 43 anni della mia vita fino a oggi, per infiniti motivi..... ma sicuramente soprattutto per il senso di piacere, di libertà che mi dà, e di reciproco contatto con la terra.
All'età di cinque anni e mezzo, prima ancora di iniziare le scuole elementari, leggevo, scrivevo, parlavo e mi comportavo come una piccola "Professoressa". L'aspetto e la nobiltà dell' animo espressa verso tutti i sofferenti, i poveri, gli animali e la natura, fece venire spontaneo a mio padre come ai conoscenti della famiglia, al posto del solito "Principessa" come si dice spesso a piccole, belle e raffinate bambine, usare invece il temine "Contessa" nei miei confronti. Anche le maniere lo rispecchiavano, l'unica cosa che balzava agli occhi evidente, o forse per loro "stonava", era che i miei piedi erano sempre "SCALZI". Quindi dall'insieme di queste cose penso venisse un po' spontaneo chiamarmi "Contessa Scalza".
Mi ricordo che pure ci avevo preso gusto a rigirare l'argomento in caso di necessità, con una piccola fantasia-verita`, le doti interlocutorie non mi mancavano e, ormai cosciente di essere chiamata così, fiera del mio soprannome, se qualcuno in città, nei negozi o per strada mi faceva notare che ero "scalza", con aria regale e sorriso coperto dalla mano con gentilezza spiegavo loro, che mi dispiaceva deluderli ma che non vedevano bene, perché le mie erano scarpette "speciali" , "magiche", di un materiale comodissimo e trasparente fatto solo per "Contesse". (hahhaha)
Nel bar sottocasa o in giro nella zona, non era cosa che suscitasse molta attenzione, mio padre e noi cinque figli eravamo conosciuti fin da piccoli e anche io con il mio andare "scalza". Dalle vicine località balneari della costa adriatica erano un po' tutti abituati a vedere i turisti tedeschi o olandesi che negli anni '70 affollavano i camping e si riversavano a visitare le città. Non che queste fossero viste come buone maniere anche allora, ma nei caffè, bar, supermercati e per le strade erano tollerati, anche perché portavano i soldi e diciamo che in fin dei conti, non gliene fregava niente a nessuno di come camminassero, se avessero sù le scarpe o no, bastava che pagassero.
In casa avevamo il riscaldamento sotto il pavimento di marmo (gustosissimo per i piedi), quindi nel mio caso la questione dello scalzismo, venne tollerata abbastanza bene a parte chiaramente alcune liti e discussioni con mia madre quando c'era da andare a una cerimonia o una visita dal medico o fare una foto (a quei tempi non avevamo le fotocamere ma si andava dal fotografo e ci si doveva vestire a festa, scarpe di vernice comprese... ).
La coscienza e il significato dell'essere una "nata scalza" assunse poi diversi aspetti negli anni che vennero. Il soprannome "Contessa Scalza" aveva un doppio significato, cioè, non essendo di famiglia ricca o nobile ma medio benestante, quel "Scalza" aveva assunto anche il sapore dell'essere una "Contessa" senza "Patrimonio ....".  Quindi per alcuni anni durante la scuola e l'apprendistato, lo scalzismo integrale si ridusse al tempo libero, quando ero a casa, in vacanza o a quando partecipavo a gite nella natura.
Lasciai presto il nido e dopo un paio di anni trascorsi in giro "scalza" per le città italiane con un' amica, dove a volte per guadagnarci i soldi per andare a dormire in una pensione camminavo "scalza" sui dei vetri rotti di bottiglia, facendo la fachira su un tappetino, mi trasferii in Germania a Monaco di Baviera. Le ciabattine di pelle stile indiano con l'anello al pollice che avevo, le usavo solo quando percorrevamo lunghi tratti di asfalto bollente sotto il sole.
In Germania ho vissuto e lavorato complessivamente 11 anni. Ero sposata con un attore tedesco conosciuto e frequentavo gente che ogni normale tedesco si sarebbe sognato, ma con loro non ho mai avuto problemi con lo "scalzismo" anche perché anche loro in casa, prevalentemente, lo praticavano e forse anche perché la parte superiore del corpo è sempre stata vestita elegante e non da stracciona e quindi magari suscita negli sconosciuti meno associazioni negative e viene più associata a una stravaganza caratteriale, eccentricità, specialmente se si ha a che fare con artisti.
(poi diciamocelo sinceramente, se uno é vestito bene ma scalzo, che pensano tutti? Semplicemente che hai una vescica ai piedi.... o le scarpe si sono rotte....)
Per andare e tornare dal lavoro usavo un paio di sandali Birkenstock fatti fare apposta per me in pelle indaco blu, ma anche quelli venivano lasciati sotto la scrivania a meno ché non avessi un colloquio con qualcuno importante. Nel tempo libero dipingevo o andavo a filosofare con amici nel parco inglese che confinava casa mia. Lì nel parco chiaramente andavo sempre scalza e portando spesso bevande o pane per il ristoro degli intelletti e degli stomachi amici, un giorno fui accolta con un solenne inchino e il saluto "Gruß Dich Gott, Contess Barfuß" (Ti saluti Dio, Contessa Scalza). Dopo una sonora risata collettiva, il titolo mi rimase. In quegl' anni ogni vacanza lavorativa o ogni soldino che mi passava per le mani veniva puntualmente trasformato in un viaggio oltre oceano. Così i miei piedi scalzi (sandali in zainetto) hanno percorso dai Caraibi alle Indie fino all'Australia. (che ricordi ragazzi.....)
Per un anno ho avuto l'opportunità di vivere in Cairns, nel nord Australia, lì l'essere "scalzi" era "di casa" e io fui subito accettata proprio per questo. In seguito mi mostrarono che i "turisti" o "stranieri" si riconoscono proprio dal fatto che usano le scarpe, i sandali e i calzetti. Osservando come si muovessero i gruppi di Aboriginals ho imparato nuove tecniche per camminare in zone molto calde senza scottarsi le suole dei piedi.
Ora da otto anni vivo nell' Olanda del nord dove passo le mie giornate in casa (CHIARAMENTE PERENNEMENTE SCALZA) dedicandomi alle mie passioni come scrivere poesie, dipingere e pubblicare un giornale di informazione alternativa online.
Questo non significa che io non abbia imparato nella mia vita ad apprezzare ed amare le belle, comode e salutari scarpe, ma io preferisco stare "scalza" semplicemente perché mi è più "naturale" ed è diventato anche il mio modo di essere. A volte però sia chiaro, quando si sta sempre scalzi, se le scarpe calzano come delle "nuvole", può essere anche una variazione piacevole per i piedi indossarle in corte occasioni..... Difatti lo confesso, non è che io non abbia scarpe....... anzi..... ne ho di bellissime, costosissime e comodissime..... ma sono tutte nelle loro confezioni nell'armadio e solo ogni tanto quando mi gira, le uso per un occasione, poi ripulite le rimetto nella loro confezione.
Camminando a piedi nudi si aggiungono alle impressioni visive e auditive, anche quelle "sensitive" di "con-tatto" costante dei piedi con il suolo di terreni, acque, paesi, città, isole, erbe, sabbie, melma, sassi, conchiglie, sterpaglie, pavimentazioni, asfalti etc... che i piedi percorrono. Camminare a piedi scalzi è come accarezzare con il palmo delle mani, il senso provato aggiunge un "gusto " che ti rimane fondendosi alle immagini e ai suoni del ricordo.

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Alex

 

Per lavoro guardo le stelle e forse per questo per diversi anni ho trascurato di badare alla terra e soprattutto ai piedi. Poi ho ascoltato una intervista radiofonica ad un barefooter e mi è tornato alla mente come da adolescente mi fosse sempre piaciuto andare scalzo. Più di una volta mi sono divertito a passare delle giornate sempre scalzo vivendo in campagna ma tra alberi di castagno). Così ho iniziato a  navigare nel web fino a trovare il Club dei nati scalzi ma soprattutto ho ritrovato il piacere del piede libero.
Credo che il mio pensiero sia essenzialmente questo:
In diverse situazioni della vita quotidiana una suola è utile. Lo sporco, l'asfalto rovente in estate, le stradine di ghiaia. Per alcuni lavori sono indispensabili scarpe protettive.
In molte altre situazioni invece proprio non serve. Peggio, e' scomoda e fa male (il mio piede suda abbastanza e più libero sta, meglio sta).
Poi, cosa anche più importante, i piedi chiusi in una scarpa sono relegati a essere meri attrezzi per camminare. Nudi riacquistano la loro dignità di parte del corpo e come tali ci mandano le loro sensazioni. Questo significa che domande tipo "e' scomodo sulla ghiaia" o "fa freddo in inverno" perdono di importanza. Il piede nudo soffre e gioisce e quindi vive! In questo va visto il beneficio e non nelle singole situazioni.
In questo vi è una forte analogia con il naturismo. I vestiti a volte servono ma altre volte proprio no. E scoprire quelle parti del corpo dove in genere non batte il sole gli restituisce quella dignità... come ai piedi.

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Michela

 

Mi chiamo Michela ed ho conosciuto per caso questo sito.
Per la verità l'ho conosciuto già da qualche mese ed avevo scritto già, complimentandomi, raccontando le mie esperienze.
Senza sapere di questa moda sin da bambina ho sempre adorato andare scalza.
Per me era più che naturale camminare a piedi nudi. Per anni ho dovuto subire i rimproveri da mia madre che mi redarguiva insistentemente poiché camminare scalzi, seppure in casa, voleva dire per lei sporcare le lenzuola.
Sono stata sempre in villeggiatura l'estate al paese di mio padre in Ciociaria dove le donne camminavano scalze.
Quindi un pò per vocazione, un po' vedere queste situazioni, mi dilettavo sempre di più a provare a camminare scalza.
Le donne lì camminavano scalze, poi l' ho capito, per non rovinare le scarpe, in quanto le strade nella campagna non erano asfaltate e quando arrivavano invece al centro del Paese, si mettevano le loro scarpe.
Ed io mi cimentavo a fare le prove nella strada a sassi bianchi per vedere quanto resistevo, naturalmente fra gli strilli di mia madre e l'incomprensione delle altre ragazzette. Ma sempre camminavo dentro casa e nel giardino a piedi scalzi.
Quando è nata mia figlia, (ora ha 29 anni) ho fatto la stessa cosa, cercavo di lasciarla senza scarpe, fino a che ho potuto naturalmente. Ma non è facile, purtroppo, perché io sono stata sempre la "strana" anche nei confronti di mio marito.
Mi dispiace aver perso un pochino questa abitudine anche dentro casa, ma vorrei tanto ricominciare.
Camminare scalzi non solo è bellissimo, fa bene a tutto anche alla mente, ma è un fatto naturale.
Le scarpe, ed è questo che le persone non capiscono, sono una costrizione per il piede anche se talvolta ce ne sono di bei modelli.

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Pino

 

La mia storia inizia molti anni fa, quando, realizzando un desiderio che avevo dentro dall’infanzia, riuscii a buttare da un lato gli zoccoli che indossavo …. Ma andiamo per ordine.
Non voglio partire dalla preistoria, ma vale la pena accennare al periodo della mia infanzia in cui, trascorrendo tutto il periodo estivo in campagna, mai ci fu modo di saggiare sabbia od acqua di mare con la pelle dei miei piedi… che al massimo godevano dell’aria che passava attraverso gli spazi lasciati liberi da un qualche sandalo (dell’epoca). E per il colmo della sfortuna, fu proprio con i sandali che mi ruppi i due pollici dei piedi… il primo contro le rotaie del treno, il secondo giocando e calciando un..pietrone!!!! Dissero i miei nonni “se avessi avuto le scarpe non ti sarebbe successo!!!” 
Solo verso i dieci anni ebbi l’occasione, di recarmi, con i compagni di giochi, in riva ad un fiume, sino ad allora proibito (troppo pericoloso) e, non potendo esimermi da imitare gli altri, levatomi le scarpe e le calze, mi trovai a correre su pietre, sabbia ed erba a piedi nudi e, massimo della soddisfazione, infilarli nell’acqua gelata che donava loro sensazioni piacevolissime.… Fu questa esperienza che destò in me quel desiderio di sentire i miei piedi liberi toccare il terreno, o qualsiasi altra superficie, aderirvi, saggiarla, sentirmi così, vicino al mondo che calpestavo, ma soprattutto sentirli liberi, non costretti da scarpe che mi davano più calore di quanto non me ne servisse, anche d’inverno…
Purtroppo per molti anni dovetti accontentarmi di passeggiare di nascosto sui pavimenti dei luoghi che abitavo, o comunque, laddove e quando, appunto, nessuno mi vedeva …
Per fortuna arrivava l’estate, almeno alla spiaggia le scarpe non si usavano e, alle volte, con qualche scusa salivo oltre la sabbia, avventurosamente verso un negozio, un bar nel “mondo esterno”… Ricordo una meravigliosa passeggiata sul lungomare ... anche perché la feci con la mia prima ragazzina ... che tra l’altro aveva due piedini molto belli ….
Potrei non finire il mio racconto, volessi trascrivere, raccontandoli, tutte le piccole e grandi occasioni capitate o cercate tra i 15 ed i 30 anni …  
Purtroppo per campare s’ ha da lavorare, ed il mio lavoro prevedeva (e purtroppo di nuovo prevede, un abbigliamento manageriale, con giacca e cravatta... figurarsi le scarpe!!! E per molte ore al giorno!
Quindi che fare? Semplice: non appena a casa, via le scarpe! (d’inverno mia moglie mugugnava …) Poi piano piano la famiglia se ne abituò. Gite in campagna, le ferie (quando riuscivo a farle ...), ogni occasione possibile, almeno gli zoccoli, i sandali, ma niente scarpe! Purtroppo rarissimamente in luoghi abitati, almeno con la famiglia, ma nei prati, sulle strade sterrate, magari durante le ferie osavo qualcosa di più …
Purtroppo non nella mia Città, come già ho detto, dove sono troppo conosciuto. Negli anni  passati,  approfittavo delle occasioni, in cui, viaggiando da solo, mi toglievo la soddisfazione di fare qualche breve giro in città: a Genova, a  Milano, autogrill dell’autostrada, ad esempio..
Una piccola assurdità.... comica? Eccola:  A volte, partecipando a riunioni che terminavano spesso a tardissima ora notturna, amando altresì camminare, concedevo ai rari nottambuli di allibire davanti al passaggio di un pazzo che camminava in Città con giacca e cravatta, o magari giaccone, ma … a piedi nudi!!! Sai poi se era d’inverno!
Ma comunque, avendo la fortuna di avere una grande casa e tanto giardino, almeno lì, è raro vedermi con un paio di ciabatte o simili … anche se nevica!!!
Poi è arrivata l’ età dell’oro … dal 2003 all’anno scorso, avendo lasciato la mia vecchia attività ed avviatone una nuova, ho abbandonato anche le scarpe, o meglio, da aprile a novembre solo sandali, in pubblico … il resto dell’anno, scarpe si ma senza calze …. POI, sia per l’aumentato tempo libero e i lunghi periodi (forzati) da single … ho scoperto il piacere delle passeggiate in collina, della marcia o corsa (anche 20 Km!!) sull’asfalto della provinciale ... a piedi nudi!
Solo ad Agosto di quest’ anno è caduto il mio record: 3 anni senza comprare un paio di scarpe! Nel senso che avendone un buon paio (invernali), ma avendole usate poco … erano sempre NUOVE!! In verità quanto ho raccontato, e come l’ho descritto, appare come volessi dimostrare con gli episodi narrati, che dico il vero, che amo camminare senza scarpe… e basta.
Questo accade perché, io, forse non so scrivere, o meglio non riesco a dare il senso giusto alle mie parole. È pur vero che si nasconde in noi, barefooter, anche una componente feticista nel piacere, magari inconscio, di vedersi le piante dei piedi … sporche della terra, o di quant’altro si raccoglie sulle strade del mondo, ammettiamolo; ma credo che questo possa far parte del gioco, senza stupirsi, scandalizzarsi o vergognarsi.
Ma oggi, per me, almeno, oltre che alla necessità fisica di sentire il piede libero, fresco, non stretto dalla morsa di una scarpa, scaldato e abbronzato dal sole o rinfrescato dal vento, come le mani o la faccia e quant’altro riesco a liberare dai vestiti, si aggiunge anche il bisogno di sentire la materia sotto le piante, percepirne la temperatura, la diversa consistenza, umidità … le pietre massaggiare ogni punto, tastare la ruvidità di certe rocce, la corteccia di un albero … Vivere il contatto con la Terra senza doversi ci sdraiare … Avete mai provato, poi, a fare una “marcia” o a correre (insomma Jogging come si dice oggi) a piedi nudi? Abele Bikila (o come si scrive) sapeva per tradizione e abitudine di vita, che il  piede nudo fa molta più presa che con le scarpe … e ti senti le dita, i muscoli del piede, sotto e sopra, vivere, muoversi, senti la forza delle tue gambe trasmettersi alla base e … voli!!!! Senza fatica.
Peccato che il sottoscritto ha piedi lunghi e dita ... per conseguenza, lunghe, nonché, come già detto, i due pollicioni rotti da bambino, ragione per la quale non mi riesce di piegare il piede come vorrei … ovvero come molti fanno ... afferrando gli oggetti con i diti … ma a forza di esercizio ... qualcosa ho ottenuto, almeno di far buona presa sul terreno!!!
Mi diverto nel vedere lo stupore (o la curiosità) di chi incontro nelle mie corse o marce per la strada … non sono una bella ragazza, più piacevole e, forse eccitante, da vedere a piedi nudi correre per strada … ma … un uomo … di età che corre contro la logica comune.
(Dimenticavo … le strade che percorro non sporcano poi tanto le piante dei piedi, ma ti regalano pezzettini di vetro od altre piccole insidiose punte che si affezionano così tanto a te … che ti … entrano dentro.  Per fortuna che i grossi oggetti ... li vedo e che i cani da queste parti hanno padroni educati.) Infine: non mi ero mai fatto delle foto negli anni passati, salvo alle volte qualche foto di famiglia, ma sono sempre in gruppo e ... non ho più i negativi e la voglia di scannerizzare e tagliare..
Quest’anno, però, con la faccenda delle camere digitali ed i telefonini … qualcosa ho fatto.
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RAlf

 

Sono nato nel 1957 e mi chiamo Alfredo ma nell'ambiente della subacquea, la mia grande passione, sono conosciuto come RAlf. Da quando mi sono messo una bombola sulla schiena ed ho potuto respirare sott'acqua da un erogatore ho capito che nella mia vita non avrei desiderato che questo più di ogni altra cosa. Sono orgoglioso di essere un sommozzatore. A differenza di molti subacquei che cercano le acque  tropicali io mi immergo nei nostri mari che sono freddi, scuri e spesso torbidi. La mia specialità sono i relitti sui quali scendo in configurazione tecnica facendo anche dei filmati. La mia fascia di confort è fra i 50 ed i 60 metri, il  mio obbiettivo raggiungere i 100 metri di profondità.
Questa era la mia vita prima che l'ictus mi colpisse.
Chi fa questo tipo di immersioni è consapevole dei rischi che si corrono: anche se tutte le precauzioni sono state prese non vuol dire che quel profilo, fatto tante altre volte, non crei una pdd che possa arrivare a provocare una paralisi o peggio. Inoltre. anche le convulsioni in acqua sono letali. E' un rischio che si valuta e delle cui conseguenze si è consapevoli. Ma quello che  mi è successo non è avvenuto durante una profonda immersione ma in casa, mentre ero in famiglia.
Ho passato giorni su una carrozzina o steso su un letto perchè anche stare seduto mi creava dei problemi. Non riuscivo più a camminare e non avevo il controllo del movimento delle braccia. La disfagia mi impediva di  mangiare e bere: avevo un sondino nasogastrico con un temporizzatore che mi dosava il nutrimento. Passavo il tempo guardando e riguardando i miei filmati e le mie foto mentre i pochi intimi a cui avevo comunicato quanto mi era successo costantemente si informavano sulle mie condizioni.
Da quei momenti, quando tutto sembrava ormai perduto, è cominciata la mia battaglia personale per riprendermi quanto stava per essermi tolto, e non era la prima volta: VOLEVO tornare alla mia vita, tornare ad immergermi e raggiungere i miei 100 metri.
Così ho reimparato a camminare, come fanno i bimbi all'inizio, attaccandomi ai mobili, alle pareti, al braccio di mia moglie che mi è stata sempre vicino, fino a che sono riuscito a farcela da solo, e poi a salire e scendere le scale e di nuovo tornare a guidare.
I dottori hanno detto che l'età e la forma fisica hanno contribuito ad una veloce ricostruzione dei canali neurali ma di fatto si sono stupiti della progressione del mio recupero. 
Poi, mentre una mattina presto camminavo da solo nel prato intorno a casa, mi sono fermato a guardare le scarpe che avevo ai piedi e mi sono ricordato di quando da bambino giocavo scalzo nel campetto dietro casa di mia nonna a Rimini, di quando da ragazzo facevo joga sempre scalzo e di quando mi toglievo le scarpe durante le passeggiate in campagna con gli amici, ficcando i piedi nudi un pò dappertutto.  Così mi sono tolto le mie belle scarpette ginniche ed in quel momento ho "sentito" la terra sotto ai miei piedi ed i fili d'erba fra le dita .... Certe volte basta molto poco per commuoversi.
Da quel momento cerco di stare scalzo più che posso, con disappunto di mia moglie che è preoccupata mi possa accadere qualche problema, ma scalzo mi sento bene e non ho paura di eventuali complicazioni. Qualcuno ogni tanto mi imputa di esagerare o mi rimprovera un eccesso di entusiasmo: il fatto è che non riesco a fermarmi perchè quei 100 metri di profondità sono ancora oggi il mio obbiettivo a cui non riesco rinunciare per cui, anche con le bolle sotto ai talloni, continuo ad andare avanti.
Quando è successo tutto questo? L'ictus mi ha colpito il 26 dicembre 2008. Da allora sono un pò ingrassato ed ogni tanto barcollo ma recentemente mi hanno dato il nulla osta per le immersioni, limitate per ora ai 30 metri. Non è una cosa fantastica?

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Andrea D.

 

Sono nato anch'io senza scarpe, ma da piccolo non sopportavo nemmeno di stare senza calze, mi vergognavo tremendamente di mostrare anche una parte del piede nudo.  Con l'adolescenza cominciò una certa voglia di stare scalzo e cominciai a portare i sandali, ma mi vergognavo a camminare scalzo e così ho passato una gioventù calzata. Ricordo che sui diciotto anni, in una casa che mi ospitava, vidi appesa su un muro quella poesiola che qualcuno attribuisce a Borges (ma credo sia di un oscuro saggista statunitense), che diceva "Se tornassi a vivere un'altra volta ... comincerei piú presto a camminare scalzo a primavera". Leggere quelle parole forse cambiò la mia vaga voglia di stare scalzo in un desiderio piú consapevole, accompagnato dal desiderio di libertà. Allora ho cominciato a stare scalzo in casa e ad avventurarmi ogni tanto per la strada, ma sporadicamente.
Così sono stato uno scalzista represso fino a tarda età, finché non mi trovai a lavorare per qualche mese a Ginevra, in una situazione che invogliava a girare scalzi: piacevole clima primaverile, strade tranquille e pulite, ambiente di lavoro rilassante, e soprattutto lontananza da colleghi e parenti.  A questo si aggiunse un mail, scritto da Temistocle LoScalzo, finito non so come su una lista di discussione politica che seguivo, che presentava il sito web del Club dei Nati Scalzi!  Decisi che ero abbastanza vecchio da non dovermi preoccupare dei giudizi degli altri e cominciai a girare scalzo regolarmente.
Tornato in patria continuai, anche se con qualche remora, sempre per via di parenti e ambiente di lavoro.  Insegno all'università, dove ci si aspetta un certo contegno da parte dei docenti. Era soprattutto il giudizio degli studenti che mi preoccupava, mentre ho scoperto presto che i colleghi avevano un atteggiamento del tutto tollerante, se non indifferente.
Piano piano ho superato molte remore, ed ora mi sento a mio agio quasi dovunque.  Non sempre e non dovunque, e poi mi metto volentieri le scarpe anche quando io non avrei problemi, ma credo che il mio stare scalzo crei problemi ad altri.  A parte questi limiti, ormai le calzature per me sono l'eccezione più che la regola.
Amo soprattutto camminare scalzo in montagna, dove mi sono spinto a fare qualche ferrata a piedi nudi, e naturalmente ho provato a fare qualche passo sulla neve.  Quanto ai ruscelli e torrentelli, non ne perdo uno!
Un'altra mia passione vicina al gimnopodismo è il nudismo, o naturismo che dir si voglia: nuotare col costume addosso dopo aver provato a nuotare nudi, è fastidioso come le scarpe per un barefooter!
Il bello del camminare scalzi, secondo me, è la grande sensazione di libertà fisica e mentale, unita al piacere fisico di toccare direttamente il suolo che ci sostiene. È un'esperienza che tutti dovrebbero provare. Vi pare?
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Giancarlo D.

 

Dunque: credo di aver cominciato quando avevo nove o dieci anni. All’epoca abitavo in campagna e tutti gli amichetti erano figli di contadini e contadini essi stessi: eravamo una masnada di ragazzini e/o ragazzine perennemente a piedi nudi, tra fratelli, sorelle e cugini; scalzi si stava nei campi, quando si irrigavano i pomodori; scalzi si entrava nel pollaio o nella stalla. Pestare una torta di vacca non costituiva un evento drammatico ma comico, piuttosto; unica precauzione, sacrosanta, era l’anti tetanica. In primavera o in estate, per andare a scuola c’erano gli zoccoletti che all’uscita, per scendere le scale, le maestre ci facevano togliere onde evitare una cagnara indecorosa e altrimenti incontenibile. La pacchia finì, quando con la famiglia dovetti trasferirmi in città: ciò che in campagna era del tutto normale, a Roma non lo era per niente; diventai uno scarpato regolare. Però al principio degli anni ’70 si parlava profusamente dei “figli dei fiori”: e talvolta capitava di avvistare turisti scalzi, isolati o in branchi; e per rinverdire i trascorsi giovanili cominciai a farlo anch’io. Mi erano rimaste suole a prova di foratura e foderate d’amianto: anche verso le due o le tre del pomeriggio, quando il sole era impietoso, non provavo un disagio enorme; meglio i sampietrini che l’asfalto, però. Se proprio volevo stare con le “idee” al fresco, c’era la cordonatura dei marciapiedi; poi, per il bar sotto casa o i bottegai della zona che oramai non ci facevano più caso, ero solo un pazzo eccentrico e innocuo: bastava che pagassi. Chi lo sa? Forse i residenti del centro storico (abitavo a un tiro di schioppo da piazza Farnese) erano di mentalità più aperta; avessi abitato in periferia, non so se l’avrei fatto d’abitudine. D’inverno, zoccoloni svedesi rigorosamente senza calze (non ho mai saputo cosa fosse un raffreddore o un’influenza) e in estate, infradito o niente del tutto; anche in Facoltà accettavano bonariamente i miei piedi nudi: ad Architettura c’era un certo anticonformismo. Finché, nel giugno dell’80, io e la mia fidanzata ce ne andammo in gita a Firenze; portavamo quei sandali indiani con l’anello di cuoio sul ditone, di moda all’epoca. Ma con i trentacinque gradi garantiti di quel giorno i piedi si erano gonfiati, tanto che parevano salami nella legatura; in Orsanmichele, nel fresco del tempio, togliemmo le dannate calzature e rifiatammo. Al momento di uscire dissi: “Tu fai come ti pare. Io me li porto in mano”. “Allora, anch’io”, concluse lapidaria. Da quel momento sentii che mi sarebbe appartenuta per la vita, come infatti è stato; e ci aveva preso tanto gusto, la giovanotta, che si fece il viaggio in treno rigorosamente scalza fino a Roma. Oltre agli scatti già presenti nella nostra galleria (John & Jane), quelli di Firenze e quelli di ventisei anni dopo, fatti a Venezia in occasione del nostro venticinquesimo: lì, per otto giorni otto siamo rimasti ininterrottamente scalzi. Ciabatte sempre al seguito, ma mai indossate; mai, nei ristoranti, bar o musei alcuno ci ha fatto storie: una sentita benedizione ai veneziani! Ecco qua. Ciò che si doveva dire è stato detto; aggiungo che io ho sessantatré anni e sono architetto; mia moglie ne ha cinquantacinque ed è dottore commercialista. E aggiungo anche che una moglie così è una benedizione!

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Piedidiluna

 

Circa due mesi fa sono giunta a questo sito interessandomi a delle particolari calzature e alla fine ho scelto le migliori che esistono: i miei piedi!!!
La mia vita è stata attraversata da diversi eventi tragici ma ad un certo punto mi sono “svegliata” ed ho compreso quanto essa sia bella e perfetta qualsiasi cosa accada. Sta a noi saperla cogliere ... sta a noi non dare rilievo solo agli eventi negativi ma vedere tutti i meravigliosi colori di ogni attimo, senza portarci dietro il bagaglio di tutti gli eccessi di emozioni dolorose che ci impediscono di essere felici. Sta a noi ritrovare la curiosità e la fiducia di un bambino nell’approcciarsi alle cose senza sentirsi addosso i condizionamenti derivanti da educazione, cultura, religione e chi più ne ha più ne metta. Insomma, prendiamoci la responsabilità della nostra felicità e viviamo con e nell’amore, questo in sostanza è il mio modo di vivere. Giunta qui non ho potuto far altro, incoraggiata dalla lettura dei post contenuti sul forum, che acuire la mia curiosità bambina e iniziare a camminare scalza.
E’ stato ed è un gioco riscoprire quel “pezzo di pelle” sempre mascherato. E’ straordinario “sentire” anche con i piedi, assaggiare il terreno come fosse un nuovo gusto da assaporare e appurare come, facendo un po’ di attenzione, si può davvero camminare “senza maschera”  senza morire feriti da un letto di chiodi o da mille vetri che aspettano chi cammina scalzo. Non ho idea se il mio essere barefooter sarà stagionale o permanente o cos’altro, non mi pongo il problema e vivo semplicemente ogni giorno scegliendo di mettere o meno le scarpe a seconda di come mi sveglio. Ultimamente, la mia scelta è sempre la stessa e sto usando le scarpe solo la sera ma nulla è un limite se non quello che ci poniamo per cui non mi precludo di togliere del tutto le scarpe dalla mia vita, sarebbe forse un po’ come buttare il vecchio per far spazio al nuovo e potrebbe avere per me anche un significato più allargato.. Chissà! Auguro a chiunque di ritrovare la sua istintiva curiosità e di addentrarsi nel barefooting e in qualsiasi altra esperienza pensando solo al piacere di scoprire e sperimentare, solo così si può scegliere consapevolmente cosa è meglio per sé stessi.
Vi lascio con un haiku che creai la prima volta che scrissi nel forum:


Scalzi i piedi/ andature d'anima/ vibrar sottile

VIVA LA VITA VIVA L’AMORE!

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Al-pino

 

Pare che io, essendo nato nel 1930, sia il più "diversamente giovane" dei Natiscalzi, da me scoperti solo recentissimamente. 
Sono quindi freschissimo di associazione al Club, ma antichissimo di pratica nel non uso delle scarpe.
Nei primi anni della mia vita abitavo in Via Cannelles, nel quartiere Castello di Cagliari, a quei tempi popolato dalla gente dei sòtani. Per chi non lo sapesse, i sòtani erano povere abitazioni costituite generalmente da un solo locale a livello stradale. La porta d'ingresso era l'unica via di accesso per le persone, l'aria e la luce.  
Gli abitanti erano povera gente; per essi le scarpe erano un lusso assolutamente superfluo, roba che solo i "signori" si potevano permettere.
In Via Cannelles non vi erano, ovviamente, solo sòtani; ma anche qualche casa signorile, abitata dal ceto medio.
Io, essendo figlio del Preside della Scuola di Avviamento Commerciale, facevo parte di una famiglia di "signori". Condizione alla quale non mi resi mai conto di appartenere, in quanto trascorrevo tutto il mio tempo a correre e giocare con gli altri bambini del rione i quali, provenendo dai sòtani, erano tutti scalzi e con le candele di moccio al naso. 
Che potevo fare, se non togliermi le scarpe?  A nulla valsero le aspre rampogne dei mie genitori, che mi vedevano arrivare a casa con i piedi neri.
I mesi estivi trascorrevano sulle spiagge (Poetto e Giorgino) ove, ovviamente, andavo a piedi nudi.
Tutti gli anni, a settembre, la famiglia si recava nel paese natio di mio padre, Dolianova. Anche lì, come in tutti i paesi della Sardegna, solo i "signori" portavano le scarpe. E anche lì io evitavo accuratamente di fare il "signore".
Divenuto più grande, la frequentazione delle scuole e delle adunate fasciste mi impose l'uso pressoché continuo delle calzature. Ma avevo sempre male ai piedi, che costretti e stretti, si arroventavano e emanavano olezzi insopportabili.
Approfittavo quindi di qualsiasi occasione per liberarmi da quella prigionia.
Divenuto maggiorenne intrapresi la carriera militare nel Corpo degli Alpini. Tra le varie versioni dell'uniforme, non ve n'era una che prevedesse i piedi nudi. Dovetti adeguarmi. Ma quando mi ritrovavo a girare per le montagne "fuori servizio", gli scarponi restavano a prendere aria.
Avevo quarant'anni quando comprai la prima barca a vela, che usavo solo d'estate, naturalmente scalzo.
Nel 1978 diedi l'addio alle armi. Avevo quarantotto anni e avevo iniziato, insieme a mia moglie Luisa e con l'aiuto di un gruppo di volenterosi amici,  la costruzione del mio  quarto veliero, una goletta in ferrocemento di 14 metri.  Fu il definitivo "de profundis" delle scarpe, che da quel momento indossai solo quando non potevo farne assolutamente a meno.
Dopo un semestre trascorso in Arabia, sempre scalzo nel deserto, decisi con mia moglie di vendere casa e ogni altro bene per andare a vivere in barca. Le scarpe e i vestiti divennero un optional.
Dal 1990 al 2008, abbiamo trascorso i mesi caldi (da aprile a ottobre) in barca  e gli altri girando un pò tutti i Paesi dell'America Latina.  Avevamo base in Costa Rica, in un paesino di pescatori sulle rive del Pacifico, dove l'andar scalzi era del  tutto normale. Inoltre, quando stavamo nella nostra casa, al centro di un vasto terreno ai margini della foresta, anche i vestiti risultavano un inutile impiccio. 
Negli ultimi anni, venduta la barca e rientrati in Sardegna, mi sono reso conto che non trovo più una scarpa in cui riesca ad infilare il piede. Ultimamente ho camminato scalzo per le vie centrali di Torino, di Sassari, di Roma e di Pieve di Cadore senza destare la minima attenzione dei passanti.
Non mi sono mai chiesto il perché del mio andare scalzo. Lo faccio e basta. Ciao a tutti con simpatia.
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Aldo

 

Già, scrivere un profilo non è così semplice, viene una voglia un po’ esibizionistica di descrivere una vita… Andiamo per ordine, se ce la faccio. Da bambino avevo due frutti proibiti: il primo erano le ciliegie candite del droghiere del quartiere, appena avevo 20 o 30 lire andavo nel negozio e prendevo con ansia quel pacchettino che quell’ omone mi passava dal bancone alto come una montagna. Poi prendevo la mia biciclettina e andavo al parco dove su una panchina mi gustavo i dolci. Naturalmente non sapevo che il droghiere era amico dei miei genitori e che quindi rimpolpava il sacchettino e poi se la rideva con loro. Il secondo erano i piedi nudi, appena i miei genitori uscivano ed ero da solo mi toglievo scarpe e calze e camminavo per casa gustandomi il freddo del marmo, il caldo dei tappeti e qualche volta anche lo “sporco” del balcone (con l’ ansia di essere visto da qualche vicino). Una volta, ricordo perfettamente, essendo stato inviato dal fornaio, a sera, ormai buio, ci andai scalzo fino alla porta del negozio. Avrò avuto 8 o 9 anni ma il ricordo è indelebile. Poi al liceo ero francamente più interessato ai piedini delle mie compagne che ai miei, e lo stesso ai primi anni di università. Però iniziai a passare le vacanze in viaggio, negli ostelli, per lo più in Germania, dove trovavo quattro cose interessantissime: Volkswagen, ragazze bionde, birra e autostrade. Un po’ poco vero? Ma dai, avevo vent’ anni o poco più! Negli ostelli provavo invero una certa invidia per quei ragazzi che giravano scalzi e le ragazze scalze mi sembravano sexyssime e avrei voluto imitarli, ma alla fine pensavo comunque che le mie scarpe da tennis fossero meglio. Poi con la laurea, altro da pensare, tanto lavoro, mutuo da pagare. Però, finalmente a casa mia, alleggerii subito i piedi, rapido passaggio da pantofole + calzini -> calzini -> infradito -> nulla (diciamo da più o meno vent’ anni). Fuori non se ne parlava ancora. Però devo anche dire una cosa: la mia famiglia di origine era decisamente “tradizionale”, di quelle dove la camiciaia passava una volta all’ anno a prendere le misure degli uomini e uscire senza cravatta era inammissibile anche per un liceale. Negli anni ’80 i viaggi cominciano ad essere importanti (sempre in Europa), ma se vedo le foto dell’ epoca mi viene da ridere: pantaloni lunghi mille tasche, scarpe da ginnastica alte, camicia con un filo di manica rimboccata! E vabbè andava così. Però appena potevo le scarpe le toglievo, magari per guadare un torrente o andare alla doccia in corridoio, sempre però… un frutto proibito. Nel ’94 accade una cosa grave, mio padre muore improvvisamente, e mi convinco che devo fare qualche cosa di “grande” per uscirne. Compero una tenda canadese uguale a quella dell’adolescenza e partiamo per l’ Australia. Al ritorno sono cambiato, semplifico la mia vita e adotto i miei amati sandali per buona parte dell’anno. Poi staticità per alcuni anni, scopro l’India, mi rodo quando torno, ma di camminare scalzi fuori nemmeno a pensarlo se non in occasioni furtive come la classica pattumiera da portare in cortile anche perché penso di essere una stranezza senza riscontro negli “altri”. Ma a un certo punto conosco casualmente il vostro sito, leggendo i post mi rendo conto che non sono solo, che non sono “matto da legare” se desidero camminare scalzo. Inizia così un apprendistato. Occorre non solo abituare la pianta, ma soprattutto la mente. Ci vorrà tempo ma la volontà ce la metto soprattutto perché mi piace parecchio. Nel frattempo sono diventato allergico alle ciliegie, così di frutti proibiti me ne resta solo uno.
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F&T

 

F&T sta per FEDE e TERESA

- Cosa abbiamo in comune ?
Bolognesi, insieme da molto tempo, mai sposati e senza figli per scelta. Siamo da anni naturisti: mare si, montagna no. Mangiamo di tutto. Amiamo tutti gli animali, ma il preferito è il gatto (per Leonardo un piccolo capolavoro). Ogni gatto ha la sua personalità e, forse in esso ci rispecchiamo. Non amiamo o pratichiamo nessun tipo di sport, non amiamo scarpe ginniche e abbigliamento sportivo, ecc...
Perché barefooters ?
A F è capitata un' esperienza singolare e incredibile, ma fortunatamente documentata. Pensiamo che in alcune occasioni andare scalzi dia più intimità es: in una chiesa, tempio, ecc... in altre un piacevole benessere.
Ci piace la città, sotto i portici si cammina benissimo, ma non rifiutiamo la campagna. Andare scalzi attiva un altro senso, automaticamente  disattivato appena rimettiamo le scarpe. Ci rendiamo conto che per molti tutto ciò può essere un problema perché in fondo condizionati, chi più chi meno, da: famiglia, lavoro, società,  ecc...

- Cosa non abbiamo in comune ?
FEDE è molto meticoloso, perfezionista, non lascia niente al caso e non ama mettersi in competizione con sé stesso. Scatta foto dall' età di 18 anni (ora è Youtubista dipendente), appassionato di archeologia industriale e motorismo storico, ama le cose degli anni 50 - 60 soprattutto per per il design. Non ama viaggiare, ma per Teresa fa anche questo...
TERESA è lunatica e volubile, ama le atmosfere mistiche, i mobili antichi in case calde e piene di oggetti.
A differenza di me non ama le cose tecnologiche, si ostina a tenere un telefonino ormai d' epoca e che tiene quasi sempre spento... Ama viaggiare e fare tantissime foto. Può camminare con tacchi a spillo o scalza, dipende da come le gira... A Milano l' incontro è stato positivo (si è tolta le scarpe prima lei di me !) e, se va bene a lei .....

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